Questo non è solo un racconto di migrazione come quelli che ascoltiamo e vediamo quotidianamente, quelli dei nostri cliché sugli spostamenti di massa, ormai un’immagine fissa basata sull’attualità che stiamo vivendo; questo è il racconto di un singolo viaggio e dello sforzo di una singola donna nel ricostruire la propria vita.

L’incontro con Siciido

Incontro per la prima volta Siciido una mattina, mentre sto andando in giro per il campo di Halabooqad con Faduma, ZamZam, il maestro responsabile della scuola e i miei due angeli custodi, il guardiano del campo e la mia personale guardia del corpo. Al campo voglio fare alcune riprese video e fotografie, a casa di tre bambini che frequentano la scuola. Cammino spedita ma ad un tratto sento una voce che chiama Faduma e la saluta, così ci fermiamo davanti ad un negozietto in lamiera alla cui finestra, chiusa da una rete di corda, si affaccia lei: Siciido. Ci invita ad entrare, ma rinunciamo, tuttavia chiedo se è possibile invitarla per un’intervista il giorno successivo. Lei accetta sorridendo.

Siciido è seduta sulla panca nel piccolo ufficio della scuola del campo.  Sono colpita dai suoi occhi di un colore grigio trasparente e chiarissimo, in netto contrasto con il colore della pelle bruciata dal sole e solcata da rughe profonde.

 

Il suo racconto

Siciido racconta: “Ho otto nipoti che accudisco come figli, tutti e otto frequentano la scuola del campo; il più grande si chiama Axmed Maxed e viene a scuola sin dall’infanzia, ora frequenta la quinta elementare”.

Prosegue spiegando di prendersi cura degli otto nipoti, ogni giorno; sei di questi sono figli di suo figlio che vive al campo ed è sposato; ci sono anche altri due nipoti che frequentano la scuola. Nella sua casa ora sono rimasti: Siciido, due figli e quattro nipoti, di cui due frequentano la scuola. Tra questi quattro nipoti, un maschio e due femmine sono orfani di un altro figlio, morto giustiziato, dieci mesi fa per aver ucciso un altro uomo. Le faide tra tribù diverse sono molto comuni in Somalia e purtroppo lasciano dietro di sé una scia di morti e bambini orfani di padre o di madre. Credo di aver fatto un po’ di confusione con i numeri dei nipoti, perché dal suo racconto in totale, i bambini dovrebbero essere dieci.

Siciido è anche la rappresentante per la scuola presso il suo quartiere al campo, cioè si occupa di fornire consigli e indicazioni alle mamme che vogliono mandare i propri figli a studiare.

L’arrivo al campo

Il racconto prosegue, Siciido parla lentamente e quasi sottovoce, ma è calma ed imperturbabile, sembra quasi che narri la storia di un’altra donna:

“Sono arrivata al campo tra i primi sfollati” le chiedo come si chiamava il suo villaggio e risponde: ” Se anche lo dico non puoi sapere dove si trova. Provengo da uno dei villaggi della campagna nei dintorni di GaroweBalli Busle. abbiamo perso tutti gli animali per la siccità del  2010: capre e due cammelli che usavamo per spostarci e vivere, eravamo pastori. Abbiamo dovuto migrare e cercare un luogo migliore per vivere e abbiamo saputo che a Galkayo c’era un insediamento di sfollati. Ci siamo messi in cammino e ci fermavamo per un po’ di giorni per riposare e cercare cibo, ci accampavamo nei campi vicino alla strada. Eravamo mio marito, io e i nostri dieci figli.

Ci siamo insediati per la prima volta nei campi intorno a Galkayo, come nomadi, dove c’erano altri come noi. Con la famiglia al completo.

 

La vita da nonna

In seguito ho avuto problemi familiari ed io e mio marito ci siamo separati;  alcuni dei nostri figli sono andati a lavorare per conto loro.  Con me sono rimasti solo i sette bambini più piccoli. Le tre ragazze più grandi sono andate a lavorare come donne di servizio presso le famiglie di Galkayo.  Erano abbastanza grandi  così nel corso di un anno si sono sposate tutte e tre e sono andate a vivere per conto proprio, con le loro nuove famiglie. I sette bambini più piccoli, quelli rimasti con me, intanto crescevano e non potevo mantenerli tutti, così due di loro sono andati a vivere con le sorelle grandi, quelle sposate. Ora quei due figli hanno la loro famiglia; altri due sono andati a vivere a Mogadiscio.  Una mia figlia abita in un campo non molto distante da qui e ora con me ci sono solo i due figli più piccoli di 16 e 17 anni, sono ragazzi. Lavorano e fanno i minatori e cavatori di pietra.”

Chiedo a Siciido quanti anni ha, alla mia domanda ride e risponde:” Non so; so di avere più di cinquant’anni, ma non conosco di preciso la mia età”. Rido e chiedo a Faduma di spiegarle che anch’io in Italia ho due nipotini, e che sono una nonna come lei, aggiungendo che forse abbiamo la stessa età. Mi guarda sorridendo e mi porge i palmi delle mani, accompagnati da lievi cenni del capo, E’ un gesto che ci avvicina.

Visita al negozio di Siciido

Siciido è ora pronta per farci vistare il suo negozietto e il piccolo orto che possiede.

Ci avviamo con lei e due dei suoi nipoti, sono appena arrivati perché durante la mattina sono stati a scuola. Camminiamo per le strade polverose e battute dal vento incessante, che ogni giorno sferza indifferente, trasportando una polvere sottile che penetra dappertutto. Giunti al suo negozio di lamiera, Siciido prende una chiave che ha nascosto sotto una pietra e ci fa entrare. Sorride e si siede per farsi fotografare con i nipotini. Nel frattempo ne sono comparsi altri due, più piccoli, non so da dove siano sbucati, probabilmente erano in giro per il campo da soli, come la maggior parte dei bambini che vivono lì.

Siciido ha un piccolo negozio di generi vari:” Ho iniziato con pochissime cose e poi, per via dei miei nipoti  ho chiesto aiuto al Gecpd    che aiuta in preferenza bambini orfani e con 300 dollari ho investito di più nel negozio.  Prima avevo otto pecore, poi sono morte di stenti perché non avevo niente da dare loro come nutrimento, ma sono riuscita a macellarne due  perché neppure noi avevamo da mangiare. Così mi è venuto in mente di fare l’orto perché quando una persona ha fame, si ingegna e vengono molte idee.

 

L’orto di Siciido

Il recinto lo avevo già e  ho deciso di fare un orto nel periodo della pioggia. Un giorno c’è stato un forte vento con il temporale che ha sradicato una pianta vicina,  allora ho potuto usare la legna per fare un recinto. Dopo qualche tempo ho visto crescere una piantina di pomodoro, e mi sono ricordata di aver gettato i semi proprio in quel punto. Ed ecco che è nata l’idea dell’orto. Molte persone mi hanno insegnato come si semina;  di solito vado alla ricerca delle persone del sud che sono agricoltori, vado dai Bantu che hanno lavorato la terra e sanno lavorare e mi hanno aiutato. Ora coltivo anguria e pomodori  il pomodoro ce l’abbiamo e lo uso per mangiare.  Il primo cocomero che ho seminato era grosso e lo abbiamo mangiato.  I pomodori ora non li compero più. Ho provato a seminare bes bes (peperoncino) e peperoni ma non crescono perché la terra è troppo dura e arida. Quando tornano i miei ragazzi dal lavoro chiedo a loro di zappare la terra. Sono davvero molto orgogliosa di avere un orto che ci fornisce la verdura e la frutta per sfamare tutta la mia famiglia.”

Siciido non è mai andata a scuola e fin dalla sua tenera età ha badato alle capre. Non dice nulla a proposito della madre dei tre nipoti orfani.La saluto ed insieme a Faduma decidiamo di darle un aiuto economico per acquistare un allaccio per l’acqua che servirà all’orto.

Siciido che ha saputo ricostruirsi una vita